“Vai dunque laggiù? Come sarai lontano!”
– ” Lontano da dove?”
storiella ebrea
Ho passato l’ultima settimana ad Hartford nello stato del Connecticut lavorando ad un edificio bellissimo e complicato: la Parish Hall della Chiesa Episcopale Del Buon Pastore. La sua storia e’ unica ed affascinante. Fu fatta costruire nel 1867 da Elizabeth Jarvis Colt la vedova indomita di Samuel Colt. Si proprio lui! Quello delle pistole. Dell’epopea del West selvaggio. Degli Indiani e dei cow-boys. Di Tex Willer e Kit Carson. Morto il prode Samuel, la vedova d’acciaio prese saldamente in mano l’impero armigero del consorte, e anche se, data la sua condizione di donna non poteva ancora votare, poteva bensi’ dirigere un’industria possente.
Gran pezzo di Storia Americana. Se capitate da quelle parti, ad Hartford (CT) andate a vederla. Ne vale la pena.
Terminato per il momento il lavoro (tornero’ ad Hartford in Settembre e poi ad Ottobre, Novembre e Dicembre), ho preso la macchina per andare a Filadelfia. Era domenica. C’era il sole. Il cielo era veramente azzurro, e non sto facendo il poeta, ma era per davvero di un blu intenso come raramente si vede in questa parte di mondo. Brillava.
A volte nel cosmo gli astri muovono a nostro favore. All’autonoleggio mi hanno dato un upgrade. Sempre una Chevrolet che onestamente nel mondo delle automobili non passera’ alla storia come un Bugatti, ma almeno era nuova. Non sembrava una scatola di tonno con le ruote e aveva anche la radio satellitare. C’era traffico, ma questo scorreva abbastanza veloce anche se io avevo deciso di prendermela comoda. Non avevo fretta. Il mio primo appuntamento a Filadelfia era per le nove di mattina del giorno dopo. Lunedi.
La voce unica di Frank Sinatra mi teneva compagnia dal canale a lui dedicato della radio satellitare Seriusly Sinatra (il nome della radio e’ Sirio, da qui Seriusly, non e’ un errore). Donne, drinks, baci, love, carezze, promesse, uomini soli. Quella voce inimitabile mi buttava addosso tutto questo e insieme all’aria condizionata mi teneva compagnia.
Il traffico continuava ad essere veloce.
Improvvisamente la mia mente che si era stancata di essere cullata, inizio’ a giocarmi scherzi beffardi.
Mentre guidavo presi a pensare a persone che avevano riempito la mia vita come fanno le pappardelle al sugo di cinghiale in uno stomaco vuoto. Mi tornarono in mente esseri umani a cui avevo fatto del male. Che hanno pianto per me. Che io avevo ferito. Per l’ennesima volta mormorai delle scuse chiedendo loro perdono.
Intanto ero arrivato a Greenwich, CT.
Questa cittadina di circa 62,256 abitanti ha il record davvero invidiabile di essere secondo un censimento del 2012 la citta’ con il reddito pro-capite piu’ alto degli Stati Uniti. E se vivete in America anche quello d essere il posto ideale per vivere. Svoltai a destra e sono andato a vedere Greenwich. Chissa’? Magari avrei trovato qualche diamante per terra o bigliettoni da cento che crescevano sugli alberi invece che le fronde. D’altronde tutti e due sono verdi. I dollari e le fronde.
Invece la prostata mi chiese di fermarmi e di aiutarla. Una stazione di servizio mi apparve simile a un’oasi nel deserto. Scendendo dalla mia temporanea Chevrolet vidi intenta a far benzina una donna bellissima e chiaramente molto “Greenwich”. Perfettamente magra come solo la ricchezza invece che la povertà può far diventare perche’ la magrezza dei poveri e’ diversa. A volte e’ violenta altre troppo triste per essere raccontata da uno scribacchino del mio calibro.
La dea di Greenwich, aveva lunghi capelli scuri, le lunghe gambe erano fasciate da pantaloni attillati (ma come si fa ad entrarci in pantaloni di questo tipo?).
Quando la vidi era tutta intenta a fare il pieno al suo Mercedes SUV e notai come la sua fosse la macchina meno appariscente fra tutte quelle che facevano benzina in quella stazione di servizio. Era ovvio che per lei il mondo non esisteva se non per sentito dire. Lo sguardo era vacuo e non alla pari con il resto del corpo. Insomma, guardandola negli occhi potevi scorgere il retro della sua testa.
Entrai nella stazione di servizio per chiedere le chiavi che aprivano i servizi igienici situati in un angolo estremo della stazione. Anche se tutto questo duro’ meno di un minuto un ragazzo forse del Bangladesh o del Pakistan, lavava con vigore il vetro della porta di entrata. Gocce di sudore erano incastonate sulla sua fronte come se fossero una piccola collana di fatica e il sudore gli macchiava la t-shirt lisa dal colore ormai indefinito e perduto.
“sorry boss, sorry boss” mi disse facendosi prontamente di lato, come di sicuro faceva molto spesso per quasi tutti quelli che lo avvicinavano. Vidi nei suoi occhi neri come la brace la paura di chi e’ senza terra e la solitudine di chi cerca di restare aggrappato alla sua dignita’. Lo ringraziai e gli augurai buona fortuna. Mentre salivo nella mia macchina lo vidi riprendere instancabile il suo lavoro di lavavetri. Improvvisamente si volto’ guardando nella mia direzione. Mi regalo’ un timido gesto di saluto con la mano libera.
La strada verso Filadelfia mi accolse di nuovo. Sfrecciavo insieme a migliaia di automobili diretto a sud. Dopo qualche chilometro notai riflesso nello specchietto retrovisore che il cielo non era piu’ azzurro. Erano arrivate nuvole gigantesche che basse e grasse sembravano essere appese all’orizzonte. E il cielo si era fatto scuro.
Scuro come la pelle di un lavavetri.