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Noi Padri

la luna e tuMe ne stavo seduto al O’Hare International Airport di Chicago bevendo un americano grande con 2 extra “shots” di espresso in attesa d’imbarcarmi su un volo verso la east coast. Il mio sarebbe partito in pochi minuti. Un uomo enorme continuava a mangiare da un contenitore di plastica qualche cosa di strano che non riuscivo ad identificare. Un gruppo di assistenti di volo passo’ vicino a me rumoreggiando come fossero uno stormo di laridi.

Fuori dalle grandi vetrate il sole picchiava impietoso su grossi aerei addormentati al terminal. La luce del primo pomeriggio ballava coraggiosa sulle ali di quell’aereo che in pochi minuti mi avrebbe inghiottito nel suo ventre capace, insieme ad occhio e croce, a un centinaio di altri viaggiatori che come me attendevano vacui e stanchi il loro destino.

Pochi attimi prima che l’agente del gate iniziasse il suo tipico rosario pre-volo, un uomo anziano saluto’ cordialmente un altro viaggiatore molto piu’ giovane, un uomo abbastanza distinto di quarant’anni circa che indossava una maglietta con su scritto la parola “NASA”. Quella che segue e’ piu’ o meno la loro conversazione:

“Salve, lavori alla Nasa?” chiede l’uomo anziano.

“Si, infatti lavoro alla NASA”

“Che coincidenza, anche mio figlio”

“Davvero? E come si chiama?”

“Thomas D.”

“Accidenti, ma io lo conosco!!”

“Incredibile! Ehy Louise, Il signore conosce Tom!” dice l’anziano tutto eccitato alla moglie. Come risposta, la signora si alza dal suo sedile e simile alla lumachina di Pinocchio si avvicina ai due.

“Dove vai?”

“Sono in transito da Huston a Boston”

“Che coincidenza, anche noi…e cosi’ conosci Tom?!”

” Assolutamente! un’ottima persona e…un grande astronauta”

Avrei voluto che voi foste con me, al terminal H1 aspettando un volo qualsiasi verso una qualunque citta’ dell’East Coast. Se lo foste stati avreste visto l’espressione di gioia illuminata e profondo orgoglio del vecchio signore. Era un lampo d’orgoglio verso il figlio, di benessere sereno da parte di un padre che sente di aver fatto tutto il proprio dovere. Ma soprattutto era amore. Puro. Perfetto. Amore verso il figlio. Credo non perche’ gli astronauti al mondo sono solo pochi, veramente pochi.

Ieri sera ho accompagnato mio figlio Marco Alexander al suo primo allenamento di pallacanestro con la squadra della sua scuola (fa la quinta elementare). I ragazzini erano palesemente felici di iniziare una nuova avventura nella loro vita. Quasi tutti sfoggiavano magliette raffiguranti D-Rose, L.James e i Bulls di Chicago e i Lakers di LA.

I due allenatori, erano gentili ma fermi allo stesso tempo, spiegando le varie tecniche di tiro, stoppaggio, quello che insomma forma le basi di questo sport.

Sedevo all’angolo piu’ lontano della palestra osservandoli attentamente. Vedevo Marco, correre con entusiasmo cercando di mettere in pratica gli insegnamenti dei suoi allenatori. Devo ammettere che dopo un poco avevo smesso di guardare gli altri bambini. Essi erano diventati per me una galassia nebulosa e lontana. Guardavo solo il mio Marco, che giocava a pallacanestro correndo felice e serio sul parquet. Palleggiava a fatica una palla forse troppo grande per lui, lanciandola in un canestro troppo lontano. Distante quasi fosse la luna.

Marco divento’ allora il mio piccolo astronauta. E son convinto che se qualcuno mi avesse visto in quel momento forse avrebbe letto nei miei occhi lo stesso orgoglio del padre dell’astronauta all’aeroporto di Chicago.

Sono certo che vi avrebbe letto anche un grande amore. Infinito come l’Universo.

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