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La Strizza di Obama

Lo ammetto.

Ho sempre pensato da quando l’ho visto parlare in televisione qualche anno fa, che Obama fosse supponente. L’arroganza di quello bravo, bello e che conosce sempre una verità’ in più’ di te. Ed essendo molto generoso, te la spiega.

Ma forse adesso Obama ha strizza. Che bella parola: Strizza. E’ figlia del dialetto romanesco e semplicemente significa Paura. Qualcosa che ti nasce dentro e simile a un piccolo malevole dybbuk, inizia a vivere dentro di te e ti stringe lentamente simile a una morsa ferrea ma gentile che dapprima non la senti ma che alla fine ti ammazza.

Un paio di giorni dopo aver perduto il dibattito televisivo contro Mitt Romney, Obama ha iniziato a lanciare grida di giubilo perche’ il tasso di disoccupazione e’ sceso per la prima volta sotto l’8%. Cercando di far apparire una vittoria di Pirro come Stalingrado dalla parte dei Russi.

Segnali di nervosismo. Di strizza appunto. di  insicurezza. Il campo di Obama sembra non avere un chiaro messaggio da mandare al paese. La gente quattro anni fa ha creduto alla sua promessa di change, ma oggi?

Certo e’ che nessuno si aspettava un Romney aggressivo, sicuro di se, un Mitt molto presidenziale. Ha compreso forse che e’ meglio abbandonare la retorica urlante del tea party (forse l’ha lasciata in appannaggio di Ryan) e si sta muovendo verso il centro dove in fondo si vince. Obama ha forse dimenticato, che Romney fino al giorno del dibattito e’ stato si, un pessimo uomo di campagna politica, ma in fondo si tratta sempre di uno che e’ stato un grande executive, cosa questa che agli americani piace.

Nel mio post precedente ho scritto di “sfide finte e court jester”. Ma forse ho dimenticato come in fondo gli Americani sono ancora abbastanza ingenui da credere alla televisione e dunque anche una sfida finta può’ far apparire un uomo di cartone come uno di marmo.

Comunque sia, credo che Obama ora ha paura.

Sente appunto, la Strizza.

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La Sfida (finta) e i “Court Jester” di Gianfranco Grande

Gli Americani amano i pubblici dibattiti dei candidati alle elezioni. Anche se in fondo tutti sanno che lo spettacolo molto spesso triste che i candidati offrono non e’ altro che un semplice “extra time” pubblicitario. Con domande troppo spesso scontate e con i giornalisti che purtroppo non fanno i veri giornalisti, bensì’ fungono da maestri di cerimonia. Ma si capisce in fondo fa “status” essere un moderatore di un dibattito presidenziale. Nonostante l’importanza del momento tutti, sia i giornalisti che i candidati si comportano quasi fossero Court Jester. Tipo Danny Kaye nell’omonimo film del 1956.

Riuscirà Romney a non dire stupidaggini? E’ questo uno dei grandi quesiti del primo dibattito.

C’e’ da sperarci perché  spesso  i candidati hanno avuto uscite troppo spesso ridicole. Come dimenticare il caro vecchio George Bush Jr durante la sua prima campagna presidenziale oppure il grande  Don Quayle? Comunque Romney e’ in buona compagnia: come non ricordare Gerald Ford nel 1976 che nego’ l’esistenza della supremazia sovietica nell’Europa Orientale degli anni settanta? Oppure l’urlo di Howard Dean nel 2004? O lo stesso padre di Mitt, l’allora governatore del Michigan nel 1967 durante le primarie repubblicane contro quel vecchio volpone di Richard Nixon?

Speriamo che all’ormai prossimo dibattito televisivo one dei due candidati ci faccia sorridere, che a piangere ci pensiamo da soli.

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